Stefano Savona

«Io non lo so come si racconta una storia» dice la bimba protagonista di La strada dei Samouni di Stefano Savona, uno dei tre registi italiani alla Quinzaine des réalisateurs. Gaza: storia di una famiglia palestinese, i Samouni, di cui vengono uccisi 29 componenti durante la campagna militare israeliana Piombo fuso (27 dicembre 2008 – 18 gennaio 2009, 1.417 morti, diritto umano violato).

Come la si racconta una storia come questa? […] La strada dei Samouni è un film al passato. Un film che vuole ricostruire una memoria.
[…] Volevo sottrarmi all’immaginario ripetitivo, sempre uguale a se stesso, in cui viene rinchiuso il popolo palestinese: la tragedia, la disperazione, la distruzione, l’essere vittima. Volevo prendere le distanze, in primo luogo di tempo, per capire. Poi, nel 2010, sono tornato. I Samouni si preparavano per un matrimonio. Stavano ricostruendo tutto. Ho filmato la loro vita quotidiana, ho raccolto i racconti sul passato. E sì, ho pensato che valesse la pena ricostruirlo, quel passato, mentre li filmavo ricostruire il presente.

La loro memoria è animata da Simone Massi e da un gruppo di disegnatori da lui coordinati.
Sì, ho pensato che l’opera di Simone, con la sua capacità di dare forma a una memoria storica e contadina, fosse perfetta per rianimare le storie dei Samouni. Certo, è stato un lavoro imponente. Alla lunga documentazione e alla stesura della sceneggiatura è seguìta la ricostruzione del quartiere in 3D, poi quella dei personaggi, poi un periodo laboratoriale in cui insegnare la peculiare tecnica di Simone (che è fatta di graffi, e a partire dal nero), e poi la messa in forma, lunghissima, perché ogni disegnatore riusciva a fare cinque disegni al giorno, e cinque disegni sono solo una piccola frazione di secondo, di un film che ora conta 40 minuti di animazione. Simone s’è fatto aiutare da disegnatori di grande livello della scuola di Urbino. Abbiamo fatto sì che ognuno di loro lavorasse su una specifica scena, la adottasse. Volevo che anche l’animazione avesse un suo tratto e una sua funzione documentaristica: dentro a quei disegni c’è una grandissima quantità di vita, la vita di chi ha passato giorni e mesi a realizzarli.

E tutta questa fatica nel disegnare i ricordi è coerente con la fatica del fare memoria, direi che lo è letteralmente…
Sì, volevo che la fatica si vedesse. Fare memoria è una sfida: contro l’oblio, la morte, la distorsione. Il cinema è un modo per opporsi a questa deriva necessaria del tempo. Per me il cinema è questo.

Col tuo film circoscrivi, orienti, spazializzi. Quanto è importante, per te, definire i luoghi?
Per me un film deve portarti in un luogo. E se in quel luogo non ti sai orientare non potrai mai capire le persone che lo popolano. Il film fallisce, semplicemente. Oggi il cinema dà per acquisite le coordinate: non sente l’urgenza di farti orientare perché crede che tu quegli spazi li conosca già. Il paesaggio americano, per esempio. Pensano tu lo abbia dentro gli occhi. Io volevo liberare Gaza dalle immagini che abbiamo negli occhi: solo distruzione e tragedia

Giulio Sangiorgio, La strada della memoria. Intervista a Stefano Savona, Film Tv n°19 – del 08/05/2018