«Rigore è quando arbitro fischia». Rivista e corretta, questa celeberrima frase di Vujadin Boškov potrebbe funzionare con altrettanta lapidarietà anche per il cinema: brutto film è quando calcio c’entra. Lo sappiamo bene: il cinema che ha provato a mettere in scena il calcio ha quasi sempre fallito. Fallimento reso ancora più significativo dal fatto che lo sport in assoluto più visto abbia irrisolvibili problemi di visibilità.
I tifosi, per esempio, come la guardano una partita? Da casa? Allo stadio? Dall’alto, dalla tribuna, dalla curva? E come si rende in termini visivi e narrativi la loro esperienza? In Febbre a 90°, Colin Firth e Mark Strong stanno guardando in tv il match che darà allo loro squadra, l’Arsenal, il titolo della Premier League dopo 18 anni: è il 26 maggio 1989, una delle partite più famose di sempre, un gol decisivo a due minuti dalla fine.
Ebbene, il regista David Evans – non un genio, chiaramente – trova il modo di raccontare la gioia indescrivibile dei loro personaggi con un montaggio alternato fra l’azione da gol spezzata e l’attesa spasmodica ritardata. Risultato? Il racconto di un’emozione unica, senza un briciolo d’emozione. Spezzare un’azione di calcio nella sua continuità è roba da allenatori, non da tifosi o spettatori.
Il tifo è momento, attimo. E se proprio si vuole raccontare quel momento (cosa che il cinema è chiamato a fare, visto che alle riprese delle partite ci pensa la tv) meglio ripiegare sui video delle esplosioni di gioia dei tifosi. YouTube ne è pieno: l’istante del gol, l’incontro del momento con l’esperienza, il qui e ora irripetibile che lascia l’azione in secondo piano… È per questo, probabilmente, che alcuni fra i migliori film sul calcio sono film sul tifo in cui il calcio non c’è…
Roberto Manassero, Attori in gioco, Film Tv n°24 – del 16/06/2018