Zidane: A 21st Century Portrait

All’inizio sono le immagini a bassa a risoluzione di una partita di calcio (scopriremo poi trattarsi della sfida fra Real Madrid e Villareal disputatasi al Santiago Bernabeu il 23 aprile 2005) che sempre più si sbriciolano in un pulviscolo di pixel. Poi, tra indistinto brusio cominciano emergere particolari in chiaro: la messa a fuoco è variabile, procede a scatti, passando sempre dal generale della partita al particolare di un gesto, di un frammento, di un solo volto: quello di Zinédine Zidane. È lui il protagonista di questo ritratto del XXI secolo.

Il film, realizzato dalla coppia di artisti composta da Philippe Parreno e Douglas Gordon, non è, come quest’ultimo ha dichiarato, «un documentario, è più un ritratto psicologico, il riflesso di uno stato d’animo. Volevamo il ritratto di un uomo del XXI secolo, ed abbiamo scelto  Zidane.  La  cosa  può  essere  importante per numerosi supporters del calcio, ma quello che rappresenta va oltre»; è, infatti, allo stesso tempo il ritratto di un personaggio del secolo e, attraverso di esso, un ritratto del secolo in quanto tale.

Zidane, un ritratto del XXI secolo è una vera e propria fantasmagoria, in bilico fra il concettuale e la celebrazione di un mito contemporaneo; ma è anche una atto sovversivo compiuto ai danni della grammatica visiva calcistica soffocata dalle maglie di una rappresentazione stereotipata. L’operazione si ispira al documentario realizzato per la tv  dal filmmaker tedesco Hellmuth Costard che nel 1970 riprese le gesta del leggendario George Best durante una partita fra il Mancester United ed il Coventry City (Fußball wie noch nie, conosciuto anche con il titolo Soccer As Never Before).

I due artisti utilizzano 17 videocamere ad alta definizione, ma, anziché adoperarle come normalmente accade per restituire lo svolgimento del gioco, le hanno indirizzate su un solo uomo, Zizou, individualizzando all’estremo la rappresentazione di un evento. Il risultato è un film straniante e bellissimo, un ritratto del giocatore (di cui vengono esaltati tanto i colpi di classe quanto gli errori, gli spunti esplosivi come i momenti in cui si muove assorto per il campo in un silenzio oscuro) che ha la durata stessa dell’incontro. La partita cessa di esistere e si riduce a frammenti di gioco incongrui di avversari e compagni di squadra che si affannano nei dintorni dell’unico personaggio di tutta la vicenda.

Zizou, come sostengono i due autori, è un enigma, il suo volto imperscrutabile non tradisce emozioni, sembra come immerso in una solitudine interiore (Alessandro Leogrande lo racconta come «un calciatore fuori dal comune, un rettile imprevedibile. […] Sembra provenire da un altro pianeta: quando nello spazio di pochi secondi fa una giocata in grado di spiazzare – rovesciando la logica comune – non solo gli avversari, ma anche i milioni di spettatori che vi assistono direttamente o sullo schermo, pare visitato dagli dei»).

A un certo punto accade che gli occhi del campione cambino espressione, vedono qualcosa che non appartiene alla dinamica stretta della partita, qualcosa che lo distrae, che lo astrae: «Mi capita – si legge in una delle didascalie che compongono il film – di sentire un’azione prima che accada, vedo il passaggio del compagno e so che segnerò, anche mentre gioco mi succede ed è come se avessi già vissuto quel momento».

Pasolini sosteneva che il calcio fosse l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. Zidane ne è stato uno dei Profeti Maggiori. Che gli dèi lo abbiano in gloria.